Intervento di Giuseppe De Lucia Lumeno, segretario generale di Assopopolari
“Eh già, siamo ancora qua” si potrebbe dire parafrasando una canzone di Vasco Rossi. Le Banche popolari e del territorio ci sono ancora. Chi pensava di poterle cancellare con un colpo di spugna, semmai per decreto, oggi, è costretto a ricredersi. Il tentativo di eliminarle, come dimostrano i fatti, è fallito. Ed è una fortuna che sia fallito, non tanto per le Banche stesse, ma soprattutto per il bene dell’economia del nostro Paese.
Anche nei momenti più difficili di questi dieci anni segnati da una crisi che ha prodotto una riduzione del PIL del 6%, le Popolari hanno continuato con intelligenza, impegno e fatica a sostenere le famiglie e le imprese legate ai propri territori. Parliamo di piccole e medie imprese, parliamo di quel 95% delle imprese italiane che, con meno di 10 dipendenti, sono la spina dorsale dell’Italia e che contribuiscono, in larga parte, a farne la seconda economia in Europa e la seconda anche in termini di esportazioni. Qui, nel Centro-Italia, con una crescita del Pil sotto l’1%, il sistema bancario ha accresciuto la quantità dei prestiti alle famiglie del 2,3% e alle imprese del 2,4%. Il dato è ancora più positivo per le Popolari che nel Lazio hanno erogato prestiti per circa 31 miliardi di euro (+ 4). Quelle che hanno la propria sede nella Regione Lazio si sono contraddistinte con impieghi per circa 3 miliardi di euro – 2 alle imprese (+5%) e quasi uno alle famiglie (+3%) – facendo registrare un aumento superiore alla media sia dell’intero sistema che di quello del Credito popolare con un + 5%.
Il tema della sfida digitale è una sfida che riguarda tutti. La nostra epoca sta vivendo una vera e propria rivoluzione che rompe gli schemi della civiltà così come li abbiamo conosciuti fin qui e ne ridisegna di nuovi delle cui conseguenze – e non solo economiche – nessuno ha, ad oggi, idee molto chiare. Per questo, quella del digitale, è una sfida che riguarda il mondo, il sistema economico e quello bancario e, di conseguenza, anche le banche del territorio. Ma i problemi e le priorità che sta affrontando il sistema bancario sono su un altro piano e, soprattutto in queste settimane, sono legate al tema delle regole prudenziali. Per mesi l’attenzione è stata concentrata su una possibile modifica della cosiddetta “Basilea 4” e quando questo pericolo sembrava scampato, la Presidente del Meccanismo di Vigilanza unico europeo, Danièle Nouy, è ritornata “a gamba tesa” sulla questione crediti deteriorati. Il tentativo, non nuovo, della Nouy ha fatto giustamente sollevare un coro quasi unanime di proteste ma non va affatto sottovalutato. Se realizzate, le nuove regole, da un lato produrrebbero forti vantaggi per gli acquirenti gli Npl che potrebbero ottenerli a prezzi minimi, dall’altro, con l’obbligo per le banche di incrementare gli accantonamenti sulle sofferenze, ridurrebbero i prestiti alle famiglie e alle imprese con l’uscita dal ciclo produttivo di altre e numerose imprese. Una battuta d’arresto per un’economia che sta uscendo a fatica e molto lentamente dalla recessione; una evidente contraddizione anche con la politica monetaria espansiva e non indolore che la stessa Bce sta perseguendo da oltre due anni con l’evidente obiettivo di favorire la ripresa immettendo nel ciclo produttivo quella liquidità che i provvedimenti della Signora Nouy andrebbero a togliere. Una Bce che con una mano dà e con l’altra toglie. Al contrario, dove sarebbe necessaria, la regolamentazione non viene neanche presa in considerazione e il shadow banking è sempre più dannoso con le cosiddette “banche ombra” il cui operato è fuori da ogni controllo. Un’enorme circolazione di denaro che non incontra l’economia reale ma serve soltanto a riprodurre se stesso con una evidente distorsione del mercato: la finanza per la finanza le cui bolle avremmo dovuto imparare a conoscere. In Europa avanza – altro problema – l’idea di porre un limite alla percentuale di debito pubblico sul totale degli attivi delle banche di un Paese. Le banche italiane, se così fosse, non potrebbero avere titoli di Stato italiani oltre un certo limite e quindi dovrebbero vendere quelli in eccesso. Risultato? L’Italia non potrebbe più contare sul proprio sistema bancario forte di un risparmio, quello degli italiani, che non ha paragoni in Europa. Quei risparmi andrebbero rapidamente nelle casse delle banche francesi o tedesche che, anche se interne come quelle italiane all’Unione, sarebbero “più uguali” delle altre grazie alla capacità e alla forza contrattuale dei propri Governi di modellare le regole a proprio vantaggio. Siamo sicuri che è proprio questa l’Unione che vogliamo? Il Governo italiano è in grado di dire e fare qualcosa?
Questi sono oggi i problemi più stringenti e gravi per le banche italiane. Inasprire le regole per le banche indebolirebbe ancora il sistema economico in una perversa spirale recessiva. La grande quantità di risparmio che le banche italiane custodiscono deve essere messo in circolazione e a disposizione dell’economia. E’ il compito delle banche, e in particolare di quelle del Credito popolare, che hanno dimostrato di saperlo fare se messe nelle condizione di farlo e se non ostacolate. I problemi delle banche si risolveranno quando si saranno risolti i problemi dell’economia, quando la ripresa sarà consistente. Perseguire altre strade è fuorviante e pericoloso per l’intero sistema economico.
In questa ottica, pensiamo, vada inquadrata anche la questione del digitale affinché possa rappresentare, appunto, una sfida e non un ulteriore problema. Quegli operatori bancari che più di altri in questi anni hanno fatto propria la sfida investendo sulle tecnologie e adeguando le proprie strutture – vedi Mediolanum e Finnat – oggi stanno aprendo filiali sul territorio. Questo non perché mettano in discussione l’utilità della tecnologia ma perché hanno capito quanto sia necessario rafforzare la capacità di incontro con la clientela in particolare per la raccolta e la gestione del risparmio. La fiducia di chi mette i risparmi di una vita nelle mani di altri, non potrà mai essere sostituita dalla migliore tecnologia: vale per l’oggi, varrà per il domani. La tecnologia non può sostituire il lavoro. Oggi, assistiamo a un fenomeno che viene spacciato per progresso ma che con la tecnologia poco c’entra e che consiste nel trasferire il lavoro dai dipendenti ai clienti, farli lavorare subdolamente e far ricadere su di essi ulteriori costi, soprattutto in termini di tempo. Noi, al contrario, ambiamo a una banca che continui a far lavorare i propri dipendenti e a incontrare anche fisicamente i propri clienti, che produca utili non attraverso la riduzione del personale, ma attraverso un’attenta gestione dei fattori e delle risorse e, soprattutto, finanziando l’economia reale.
Ci dicono che il mondo è cambiato. E’ vero e lo sappiamo bene. Non siamo più soli ad affermare che il mercato non è perfetto, che non può essere considerato il dominus e che “lasciandolo fare” tutto risolve. Il Premio Nobel per l’economia è stato assegnato quest’anno a Richard Thaler, un economista che ha studiato i comportamenti e le scelte degli investitori arrivando alla conclusione che queste non sono affatto, sempre e comunque, razionali sia nell’economia che nella finanza. Dopo gli anni del “è il mercato bellezza!”, della “infallibilità” del dogma dell’efficienza del libero mercato che agendo su schemi matematici e razionali alla ricerca della massimizzazione del profitto avrebbe prodotto anche la massimizzazione del benessere per tutti, oggi, il premio Nobel viene assegnato a chi, al contrario, ha messo in relazione economia e psicologia, matematica e umanità. Lo stesso vale, in egual misura, per il rapporto tra tecnologia e lavoro. Ed è, senz’altro, un bene per tutti! Un accenno di ripresa economica è in atto, il disgelo è in corso, il ruolo delle banche del territorio è riconosciuto. Ci siamo riusciti e oggi possiamo dire: “sembrava la fine del mondo, ma siamo ancora qua col cuore che batte più forte”.