Le attività per la celebrazione del settantesimo anniversario della Costituzione italiana non possono, per chi si occupa di banche popolari e, più in generale, di cooperazione, non riportare a indagare la figura, il pensiero e l’opera di Luigi Einaudi. Una indagine che, con il dovuto rispetto e con la necessaria attenzione, rimette al centro del ricordo e della celebrazione una personalità di grande prestigio e importanza per la vita economica, istituzionale e politica. Einaudi brillò proprio nei passaggi più delicati di quasi un secolo di storia italiana che nell’Assemblea costituente vide un vero e proprio spartiacque carico di attese tra due epoche. Luigi Einaudi fu un protagonista di quella fase, prima come accademico, poi come Ministro e Governatore della Banca Centrale, poi direttamente come Costituente e, infine come Presidente della Repubblica e Senatore. Fu protagonista non solo del pensiero e della cultura liberale italiana, ma di un’intera stagione costituente riuscendo a far vivere quella cultura nella nostra Carta fondamentale malgrado partisse da una posizione di minoranza.
Einaudi è stato sempre vicino alle vicende e ai problemi del credito popolare. Fu direttore della rivista dell’Associazione fra le Banche Popolari, “Credito e Cooperazione” ma anche consigliere e amico di molti fra i fondatori di banche popolari. Studiarne e approfondirne il pensiero ci permette di capire, fino in fondo, il ruolo che ha svolto in Italia il pensiero economico liberale nello sviluppo dell’economia reale e delle banche popolari. Grazie alla lettura dei lavori dell’Assemblea costituente è possibile porre l’accento su un aspetto importante ma mai abbastanza approfondito e cioè il forte legame tra il pensiero liberale italiano e le realizzazioni cooperative che avevano avuto una straordinaria fioritura fino all’inizio degli anni venti del secolo scorso e che nella Carta trovano dignità costituzionale. Le origini di Einaudi sono, infatti, contigue ai teorici dell’economia cooperativa e politica, in particolare a Salvatore Cognetti De Martiis, fondatore all’università di Torino del Laboratorio di economia politica. Cognetti de Martiis, economista poco conosciuto perché poco studiato, esercitò su Einaudi un ruolo di primissimo piano sia sotto l’aspetto teorico che sotto quello metodologico un ruolo che si rivelò di grande importanza per l’intera storia del pensiero economico liberale italiano. Grazie a questo sodalizio è stato possibile anticipare i fondamenti dell’economia applicata e arrivare alla conclusione che l’analisi economica non poteva prescindere da un approccio metodologico integrato e pluridisciplinare, rifiutando la malattia neoclassica di separare l’economia e la statistica dalle scienze sociali e morali, fondandola, invece, proprio su una riflessione su queste ultime, come del resto i grandi classici del pensiero economico insegnano. Il pensiero liberale costituisce, in seno all’Assemblea, un laboratorio di economia politica nel quale vengono sviluppate le prime analisi sulle crisi capitalistiche e sul ruolo equilibratore dello Stato che Einaudi, insieme anche a Lampertico e a Luzzatti, aveva potuto approfondire e a diffondere, e che spiegarono alcune delle scelte nella determinazione della forma di Governo.
«La dottrina di chi pone al di sopra di ogni altra meta il perfezionamento, l’elevazione della persona umana… una dottrina morale, indipendente dalle contingenze di tempo e di luogo». Sono parole di Einaudi che spiegano il clima culturale nel quale era maturato il liberalismo italiano. E ancora, sotto il profilo politico: «il liberalismo è una dottrina di limiti; e la democrazia diventa liberale solo quando la maggioranza volontariamente si astiene dall’esercitare coazione sugli uomini nei campi che l’ordine morale insegna essere riservati all’individuo, dominio sacro alla persona». Sono premesse concettuali che portano alla ferma convinzione di Einaudi che una società veramente liberale e democratica non dovrebbe mai rinunciare a preservare la libertà economica alla libera azione degli individui nelle vesti di risparmiatori, consumatori e imprenditori per arrivare poi, solennemente a sostenere che «I liberali negano che la libertà dell’uomo derivi dalla libertà economica; che cioè la libertà economica sia la causa e la libertà della persona umana nelle sue manifestazioni morali e spirituali e politiche sia l’effetto. L’uomo, moralmente libero, la società composta di uomini i quali sentano profondamente la dignità della persona umana, crea simili a sé le istituzioni economiche. La macchina non domina, non riduce a schiavi, a prolungamenti di se stessa se non quegli uomini i quali consentono di essere ridotti in schiavitù. Esiste un legame tra la libertà economica da un lato e la libertà in genere e la libertà politica in particolare dall’altro canto; ma è legame assai più sottile di quel che sia dichiarato nella comune letteratura propagandistica». Sono parole di incredibile attualità soprattutto se pensiamo a come, oggi, il concetto di libertà sia svilito e immiserito in balia di mille definizioni tutte apparentemente equivalenti e tutte che sembrano, ma solo apparentemente, esaltarne il valore ma che, al contrario, depotenziano.
Nella ricerca della libertà e nella costruzione di un assetto istituzionale quanto più liberale possibile, Einaudi considera essenziale, come più volte abbiamo avuto modo di constatare, il ruolo della cooperazione. Aveva scritto, per “Credito e cooperazione”: «Le cooperative sono forse una delle forme più peculiari all’Italia di tutto il movimento sociale moderno; nascono esse infatti e si sviluppano per opera di speciali condizioni economiche del paese nostro e traggono forza e vigore da disposizioni legislative adottate presso di noi a loro vantaggio… La diffusione di questo profondo sentimento di solidarietà in mezzo a quegli strati di popolazione agricola che vi parevano più refrattari basterebbe a mostrarci quali mirabili e splendidi risultati si possono trarre dalla cooperazione, specialmente quando sia rivolta al raggiungimento di uno scopo concreto e non si oppongano ostacoli pecuniari molto forti».
“L’uguaglianza nei punti di partenza”, per risolvere i problemi sociali senza mai sacrificare la libertà. L’imposizione fiscale che taglia anche “gli alti papaveri” ma non elimina l’incentivo a produrre, a migliorarsi, al nuovo risparmio; l’imposizione con aliquote “meno bestialmente alte di quelle vigenti in Italia” ma “osservate”. Un’ economia di mercato in quanto la sola capace di produrre per tutti i cittadini indistintamente – sfruttando risorse e iniziative di tutti – un aumento del reddito e quindi del benessere collettivo e individuale. La critica allo statalismo che, partendo da osservazioni di carattere economico, arriva ad essere l’affermazione di un principio che costituisce una grande conquista del pensiero moderno: essere, cioè, la libertà economica premessa e condizione essenziale della libertà politica con la conseguenza che senza la libertà economica si va inesorabilmente verso la schiavitù. L’esistenza di un “punto critico” nell’interventismo statale, al di là del quale una società degenera e decade nell’abolizione della libertà. “Guai allo Stato nel quale la possibilità di occupazione e le maniere di vivere di troppi o di tutti i cittadini, dipendono da un unico signore!” perchè “Abbiamo bisogno di uomini intelligenti e abili cresciuti in un ambiente di libertà, e non di infingardi che tutto aspettano dal favore dei pubblici poteri”. L’uomo liberale, per Einaudi, ambisce ad una società “varia, ricca di forze indipendenti le une dalle altre, in cui industriali e lavoratori, leghe padronali e leghe operaie liberamente discutano, si affrontino e lottino. Egli ama la lotta ed ha in abominio l’ubbidienza ad un solo capo. La lotta è vita, il conformismo è morte”.
Sono pillole di un lascito culturale enorme che dobbiamo a Luigi Einaudi e che nella lettura della nostra Carta costituzionale, così come negli atti delle Costituente, rendono possibile un’operazione di celebrazione del settantesimo anniversario che attualizzi, andando alle fonti, un insegnamento di grande attualità e utilità nello sbandamento ideologico, istituzionale, politico, economico e soprattutto morale che il nostro tempo vive.