Prosegue, con questo terzo volume, la pubblicazione di alcuni tra gli articoli più significativi apparsi su Credito e Cooperazione in quasi trenta anni – quelli a cavallo tra Ottocento e Novecento- di attività di studio, di analisi, di ricerca giuridica di ordine societario e commerciale. Articoli che raccontano la vita e il funzionamento delle istituzioni del credito popolare e della cooperazione europea con una particolare e naturale attenzione per quella italiana. Una raccolta che, sotto questa particolare lente, ricostruisce una delle più importanti e ancora attuali esperienze della vita economica del Paese.
La realizzazione di questa opera editoriale nasce dall’idea di ricordare il 90° anniversario della scomparsa di Luigi Luzzatti protagonista della vita politica, economica e sociale italiana e indiscutibilmente riconosciuto come il fondatore della cooperazione bancaria – oltre che di numerosi singoli istituti di credito popolare – in Italia e uno dei più autorevoli di quella europea. L’attività pubblicistica dell’Associazione fra le Banche Popolari, che nei decenni ha trovato proprio nella rivista Credito e Cooperazione il suo principale strumento di azione, è stata una delle tante scelte felici e lungimiranti di Luzzati, primo Direttore, che vi chiamò a collaborare, tra gli altri, professionisti della levatura culturale e morale di Luigi Albertini, Bonaldo Stringher e Luigi Einaudi.
E’ venuto naturale dedicare l’intera collana al Presidente della Banca Popolare di Sondrio, Piero Melazzini, scomparso nel 2015. Egli, facendo proprio l’insegnamento di Luzzatti, seppe cogliere il valore strategico dall’attività pubblicistica curando direttamente e personalmente il notiziario della propria banca così come sceglieva tutti i propri collaboratori. Pensando all’opera di Luzzatti non può non tornarci in mente la figura di Melazzini tanti e tali sono i tratti culturali e personali che li accomunano a partire dalla centralità che entrambi riconoscevano ai valori e alla sorte della cooperazione e del credito popolare in quanto profondamente convinti delle sue potenzialità. Capace di guardare oltre il contingente e di comprendere quale sarebbe stato il corso futuro delle cose, Melazzini, come Luzzatti, affiancava alla capacità di analisi, la concretezza di saper declinare, nell’ambito della tecnica e della gestione della banca, i valori e i principi della cooperazione. Erano persone dal forte senso pratico che sapevano bene quanto importanti fossero anche gli aspetti della quotidianità dell’operatività bancaria. La rivista, spazio aperto e democratico, fu il luogo più adatto e attento a queste esigenze come, più generalmente, ai bisogni del mondo della cooperazione e degli attori di tutte le istituzioni cooperative rappresentando, ancora oggi, un’utile lettura per capire le vicende economiche, sociali e politiche dell’Italia dalla parte delle comunità, delle economie nascenti, dei valori della cooperazione. Grazie agli articoli raccolti in questo terzo volume che ricostruisce la vita e il funzionamento delle istituzioni del credito popolare e della cooperazione negli anni che vanno dal 1901 al 1904, è possibile scoprire come storie e personalità, appartenenti a generazioni così distanti nel tempo, siano invece tanto vicine tra loro. Allo stesso modo è utile vedere quanto una . distanza temporale ampia possa essere colmata confrontando due mondi, quello dei primi anni dello scorso secolo e quello di oggi, molto diversi che pongono, però, problemi più simili di quello che, a prima vista, potrebbe apparire.
“Così lontano così vicino” era il titolo di un film di non grande successo dei primi anni ’90. Così lontano è il nostro Paese di inizio Novecento ma, allo stesso tempo così vicino nei problemi che si trovava ad affrontare e nelle soluzioni che venivano proposte nel sistema della cooperazione bancaria. Nel 1903 -può sembrare alquanto bizzarro- la crescita dei dividendi delle banche popolari era considerata, dagli stessi protagonisti del credito popolare, uno dei problemi che, in qualche modo, andava giustificato e moderato. Luzzatti poteva scrivere che “nonostante la severità dei bilanci, l’altezza dei fondi di riserva ordinari e straordinari, nonostante l’assegno ad opere buone di varia specie, i dividendi, per necessità dei conti, si sono andati ingrossando”. Una “bella malattia” la definiva lo stesso Luzzatti, ma comunque una malattia, una “tendenza che non doveva essere in alcun modo incoraggiata”. E questo perché l’eccessiva crescita del prezzo delle azioni era da considerarsi un male in quanto così rendeva più “difficile l’adito alla fratellanza della piccola gente che ne è l’ornamento e ne deve costituire il nerbo”. Ma anche e soprattutto perché “chi si arresta a contemplare il bene compiuto decade” .
E a chi dipinge gli istituti della cooperazione bancaria “come esauriti e incapaci di trarre dalle nostre piante, riconosciute forti e sane, nuovi fiori e nuovi frutti” Luzzatti invocava “l’obbligo di rispondere nel solo modo che si conviene con le istituzioni elette, con gli splendori delle nostre evoluzioni organiche, con gesta azione” perché “le classi popolari sentono il bisogno di salire sempre più in alto, sentono che col crescere della civiltà il tenore di vita morale e materiale deve migliorarsi e poiché osiamo ancora sperare che alla funesta lotta di classe si sostituisca la solidarietà di tutti gli uomini che lavorano, qualunque sia la natura del lavoro, qualunque sia il grado di coltura e di ricchezza che possiedono, sentono e dovranno sentire che l’interesse della collettività dei cittadini è anche e precipuamente interesse loro”. Ecco, dunque, che, a inizio Novecento come a inizio del nuovo millennio, allora come oggi e sempre con la bussola della solidarietà, “sono nuovi doveri, nuove responsabilità che i tempi nuovi impongono” a un nuovo sviluppo e consolidamento del credito popolare; “noi abbiamo fede che sapranno corrispondervi degnamente, come degnamente hanno per la maggior parte corrisposto e che come nella ricostruzione economica dell’Italia seppero aver tanta parte senza indebolire la loro compagine, così ai nuovi progressi sociali ed economici che il nostro Paese è destinato a compiere sapranno contribuire con prudente operosità”.
Prudenza, operosità, capacità, appunto, di “volgere lo studio di una più larga azione” sono esortazioni e profezie di una attualità impressionante. Esse sono complementari a quelle scritte, ancora nel 1904, nell’affrontare il tema del rapporto tra principio cooperativo e scienza moderna, quando si arriva ad affermare, non senza valide argomentazioni scientifiche, che “se la concorrenza è un fattore dell’evoluzione, non è né il solo né il più importante” e che “quando c’è concorrenza tra nazioni, essa esiste solo tra quelle che hanno sviluppato il senso della mutualità e della cooperazione” perché “l’epoca delle lotte economiche tra le nazioni non può essere che transitoria, dopodiché verrà il giorno in cui esse sentiranno il bisogno di aiutarsi scambievolmente come avviene tra gli individui”. In fondo, “le società che sopravvivono e alle quali appartiene il futuro, sono quelle che hanno completamente applicato il principio della cooperazione”.